martedì 27 giugno 2017

VICTORIAN ETIQUETTE FOR A BALL-ROOM: rules for bachelor Gentlemen.


“Remember that a ball-room is a school of politeness, and therefore let your whole conduct be influenced by that strict regard to Etiquette such a place requires.”

Etiquette for Gentleman or the Principles of True Politeness, 1852.



The Woman of Fashion (La Mondaine), 1883 - 1885, James Tissot



Le sale da ballo, considerate come luogo privilegiato d'incontro, costituivano l'ambiente dove, per eccellenza, ogni Gentleman poteva esercitare la propria preparazione in fatto di cortesia, di etichetta, di abilità nelle danze e per quanto concerneva la classe media, era il luogo per eccellenza in cui dare mostra ed esibizione delle proprie attitudini in fatto di galateo, per essere alfine promossi appieno in società.

Essendoci ormai noto il rigore dei Victorians per i quali ogni ambito della vita, privata e sociale, era governato da regole, vediamo insieme le principali che dovevano essere essere tenute presenti per prendere parte ad un ballo nel rispetto della più raffinata galanteria:



RISPONDETE IMMEDIATAMENTE AD UN INVITO:

Non appena viene recapitato l'invito è buona norma rispondere con sollecitudine, sia che si desideri partecipare, sia che non si possa prender parte alla serata;



ABBIGLIATEVI IN MODO ADEGUATO ED UNA VOLTA VESTITI CERCATE CONFERMA IN UNA SECONDA OPINIONE CIRCA L'IDONEITA' DEL VOSTRO ASPETTO ALL'EVENTO:

Per recarsi in  una sala a ballo un Gentleman deve indossare un cappotto, un paio di stivaletti ed un tailleur, tutto nero, mentre i guanti, il panciotto e l'eventuale cravattino devono essere bianchi; i manuali di etichetta del tempo consigliavano, invece di consultare ripetutamente lo specchio, di chiedere un parere ad un membro della servitù o ad un conoscente.



QUANDO ARRIVATE, PORGETE I VOSTRI RISPETTI ALLE SIGNORE E NEL CASO IN CUI IL PARTY FOSSE IN CASA DI UN AMICO O DI UN PARENTE SIATE PRONTI A FARE IL VOSTRO DOVERE:

Se sono già presenti in sala delle signore, salutate con inchino ciascuna di loro e fate in modo che quella che più gradite vi garantisca il primo ballo e qualora il ballo avesse luogo in casa di un parente o in casa vostra, assicuratevi che ogni Lady abbia il proprio cavaliere.



MAI SEDERSI ACCANTO A LADIES CHE NON SI CONOSCONO:

Un vero Gentleman, con il dovuto consenso, si siede sempre accanto a Ladies che già conosce.



NON INIZIATE LE DANZE SE NON NE CONOSCETE I PASSI:

Il Gentleman ben educato danza solo se conosce bene le figure che il ballo comporta per non mettere a disagio la propria compagna, che altrimenti non saprebbe come comportarsi.



NON SCORAGGIATEVI MAI:

Danzate in estrema tranquillità ricordando che il ballo deve coinvolgere la parte del corpo che va dalla vita in giù, non fate l'errore di tenere il busto troppo in avanti o indietro e trasportate la vostra compagna con leggerezza come se dovesse muovere i propri passi su di una tela di ragno.



QUANDO DANZATE NON PENSATE A NULL'ALTRO CHE ALLA VOSTRA LADY:

Siate con lei una cosa sola e quando il ballo si è concluso offritele delle vivande fresche.



Rogelio de Egusquiza (1845 - 1915), The End of the Ball




GETTATE UN OCCHIO ANCHE ALLE 'WALLFLOWERS' (OSSIA ALLE LADIES CHE NON HANNO COMPAGNI E CHE FANNO 'DA TAPPEZZERIA').

Il vero Gentleman è colui che di tanto in tanto chiede un ballo anche alle ladies che non sono accompagnate.



QUANDO DANZATE NON SUSSURRATE ALL'ORECCHIO DELLA VOSTRA COMPAGNA E NON CALPESTATELE L'ABITO:

Nel primo caso assumereste l'aria di una persona misteriosa, nel secondo caso di un villano.



NON CHIEDETE TROPPO SPESSO LA COMPAGNIA DELLA STESSA LADY ANCHE SE E' LA VOSTRA PREFERITA:

Anche se è quella che più gradite, non private le altre del piacere della vostra compagnia.



SE IL VOSTRO INVITO VIENE RIFIUTATO, ACCETTATE TALE DECISIONE CON ESTREMA GRAZIA;

E se vi accade di vedere in sala la Lady che vi ha rifiutato danzare con un altro compagno fingete di ignorarla.



PRESTATE ATTENZIONE ALLE VOSTRE MANI QUANDO DANZATE IL WALTZER:

Le cingerete la vita, ma con grazia e non con forza sia per non farla sentire costretta sia per non darle un'impressione sbagliata.



QUANDO DANZATE LA QUADRIGLIA NON SIATE TROPPO ROZZO:

Non lasciatevi trasportare troppo dalla vitalità della danza, guidate la vostra compagna tenendole la mano, ma senza stringergliela troppo, affinché non vi ritenga un villano.



NON OFFRITEVI MAI DI RIACCOMPAGNARE UNA LADY ALLA PROPRIA DIMORA:

La obblighereste ad accettare !



The Ball, Charles Wilda (1854-1907) 




NON SIATE L'ULTIMO A LASCIARE LA SALA DA BALLO:

E' preferibile essere tra i primi ad abbandonare la scena piuttosto che dare agli altri l'impressione di non prender mai parte ad alcuna festa e di cercare perciò di trarre da questa il massimo diletto.




Queste erano le principali norme che un perfetto Gentleman, rispettoso dell'etichetta e delle buone maniere, doveva sempre tener presente ogni qualvolta varcava la soglia di una sala da ballo, dove, possiamo tutt'oggi presumere, questi spesso si recava o per fare conoscenze o per approfondirne altre, ma il rispetto dell'apparenza ed il mostrarsi riguardoso, misurato, compiacente e cavalleresco erano di sicuro le regole principali che dovevano tenere a freno gli impulsi amorosi !




Nella speranza di avervi fatto trascorrere in serenità 
qualche minuto in compagnia di ~ My little old world ~ 
vi abbraccio caramente ed altrettanto caramente vi saluto



a presto 💕










FONTI BIBLIOGRAFICHE:

Elizabeth Aldrich, From the Ballroom to Hell: Grace and Folly in Nineteenth-Century Dance, Northwestern University Press, 1991;

Charles Durang, The fashionable dancer's casket or, The ball-room instructor. A new and splendid work on dancing, etiquette, deportment, and the toilet, Fisher & Brothers, 1856;

Etiquette for Gentleman; or the Principles of True Politeness, Halifax, Milner and Sowerby, 1852;

Cecil B. Hartley, The Gentlemen's Book of Etiquette and Manual of Politeness, First Edition 1860, Hesperus Press Ltd; Reissue edition, 2014;

Thomas E. Hill, The Essential Handbook of Victorian Etiquette, Bluewood Book, 1994.









“Remember that a ball-room is a school of politeness, and therefore let your whole conduct be influenced by that strict regard to Etiquette such a place requires.”


Etiquette for Gentleman or the Principles of True Politeness, 1852.




- picture 1 - The Woman of Fashion (La Mondaine), 1883 - 1885, James Tissot



Ballrooms, considered as a privileged meeting place, were the setting where, for excellence, every gentleman could exercise his own preparation as for courtesy, good manners and dance skills and, for the middle class, it was the place in which to show and exhibit aptitudes in terms of etiquette, to be fully promoted into the society.
We well know the rigor of the Victorians for every area of ​​everyday life, both private and social, which was strictly governed by rules, so let's see together the principal ones that should be held present before than entering a ballroom in the respect of the finest gallantry:



RESPOND PROMPTLY TO INVITATIONS:

As soon as the invitation is delivered, it is a good rule to answer with solicitude, whether you would like to participate, or you are not able to attend the evening;



DRESS AS THE OCCASION REQUIRES AND ONCE DRESSED GET A SECOND OPINION ABOUT YOUR LOOK:

To go to a ballroom a Gentleman have to wear a black coat, a pair of black boots and a black suit, while the gloves, the waistcoat and the tie should have to be white; the manuals of Etiquette of the time suggested a good principle: instead of looking repeteadly at the mirror, ask an opinion to a member of the servitude or to an acquaintance about your aspect.




WHEN YOU ARRIVE, PAY YOUR OWN RESPECT TO THE LADIES AND IF THE PARTY IS HELD AT A FRIEND OR A RELATIVE'S HOME, BE READY TO DO YOUR DUTY:

If some ladies are already in the ballroom, pay your respect to each of them, bow deeply as you pass them and make sure that the one you like best will dance with you the first dance; if the ball takes place in a relative's home or at your home, make sure that each lady has her own Gentleman.



NEVER SIT DOWN BESIDES LADIES YOU DO NOT KNOW:


A true gentleman, with the due consent, always sits besides Ladies whom he already knows.



DO NOT START TO DANCE UNTIL YOU KNOW THE STEPS:

A well-bred Gentleman begins to dance only if he knows well the steps and the figures that the dance involves for not to make feel his partner uncomfortable and uneasy: she herself wouldn't know how to behave !



DO NOT KICK AND CAPER ABOUT:

Dance in extreme tranquility remembering that every dance involves the part of the body from the waist down, do not do the mistake of keeping your bust too forward or backward, and always carry your partner lightly as if she had to move her feet on a cobweb.



WHEN DANCING THINK NOTHING BUT YOUR LADY:

Imagine to be alone with your Lady and when the dance has ended up remember to offer her refreshments.




- picture 2 - Rogelio de Egusquiza (1845 - 1915 ), The End of the Ball




TAKE A LOOK TO WALLFLOWERS TOO.

A true Gentleman is the one who occasionally asks for a dance also to those ladies who are not accompanied.



WHEN YOU DANCE DO NOT WISPER TO YOUR LADY AND DO NOT  STEP OVER HER DRESS:

In the first case you would assume the air of a mysterious person, in the second case of a villain.




DO NOT FORGET THE OTHER'S LADY COMPANY - DON'T DANCE TOO OFTEN WITH THE SAME LADY EVEN  SHE'S YOUR FAVOURITE:

Though she's the one you most like, do not deprive the other Ladies of the pleasure of your company.



IF YOUR INVITATION IS REFUSED, ACCEPT THIS DECISION WITH EXTREME GENTLENESS;


And if you happen to see in the room the lady who refused to dance with you together with another fellow, just pretend to ignore her.



PAY ATTENTION AT YOUR HANDS WHILE YOU'RE DANCING THE WALTZER:

You will cripple your Lady's waist, but with grace and not with force, not to make her feel compelled or to give her a wrong impression.



WHEN YOU DANCE THE QUADRILLE, DON'T LOOK COARSE:

Do not be too enthusiastic about the dances, drive your companion by holding her hand, but without squeezing it too hard, so that you don't look like a villain.




NEVER ACCOMPANY A LADY BACK TO HER HOME:

You should force her to accept it !




- picture 3 - The Ball, Charles Wilda (1854-1907) 




DO NOT BE THE LAST TO LEAVE THE BALL ROOM:

It is preferable to be amongst the first to leave the scene rather than giving the others the impression that you never take part in any party and therefore you're trying to get the most out of this one.



These were the principal rules that a perfect, well educated and gallant Gentleman always had to keep in mind when he crossed the threshold of a ballroom, where, we can still assume, he often went to make new acquaintances or to meet someone he already knew, but the respect for appearance and to appear deferential, measured, compliant, and chivalrous were certainly the main rules to keep in mind !



In the hope of having presented you a few pleasants moments 
in the company of ~ My little old world ~ 
I embrace you so dearly and just as dearly I greet you,



see you soon 💕











BIBLIOGRAPHIC SOURCES:


Elizabeth Aldrich, From the Ballroom to Hell: Grace and Folly in Nineteenth-Century Dance, Northwestern University Press, 1991;

Charles Durang, The fashionable dancer's casket or, The ball-room instructor. A new and splendid work on dancing, etiquette, deportment, and the toilet, Fisher & Brothers, 1856;

Etiquette for Gentleman; or the Principles of True Politeness, Halifax, Milner and Sowerby, 1852;

Cecil B. Hartley, The Gentlemen's Book of Etiquette and Manual of Politeness, First Edition 1860, Hesperus Press Ltd; Reissue edition, 2014;

Thomas E. Hill, The Essential Handbook of Victorian Etiquette, Bluewood Book, 1994.

















mercoledì 21 giugno 2017

MARIE ANTOINETTE: how She and Her sad Life were seen in the eyes of the Victorians.


Quando guardiamo alla storia ed ai suoi personaggi ci rivolgiamo ai critici ed agli storici più vicini ai nostri tempi, alle autorità più moderne, ma ci siamo mai chiesti come talune figure che hanno fatto la storia apparissero agli occhi dei primi che raccontarono le loro vite, ossia a biografi che immediatamente succedettero loro e a quanto la loro ottica fosse influenzata dalla cultura del loro tempo ?


Dal film Marie Antoinette di Sofia Coppola, 2006. 



Ricercando sul web mi sono imbattuta in una breve biografia dell'austriaca regina dei francesi Marie Antoinette apparsa sul n.94 del GODEY'S LADYS BOOK AND MAGAZINE, (March 1877); esattamente 140 anni fa Mrs JOSEPHINE ROBBINS FULLER scriveva questo articolo, in parte romanzato, ma fedele ai fatti storici che condussero alla Rivoluzione e alla ghigliottina i regnanti francesi, che ci permette di entrare direttamente in contatto con il clima romantico e con i valori di cui era intriso il vittorianesimo: l'importanza dell'amore e della fedeltà coniugale, la benedizione dell'unione famigliare vista come promozione della benedizione celeste, la modestia, l'umiltà, la serena sopportazione del dolore come mezzo che promuove la beautitudine celeste... leggiamolo insieme ...

Le corone hanno molte spine, spine crudeli che talora conducono alla morte di chi le indossa. Marie Antoinette imparò tutta l'amarezza di questa triste verità. Ella dischiuse per la prima volta gli occhi al Palazzo Imperiale di Vienna il 2 Novembre del 1755 ed era la più giovane figlia dell'Imperatore Franz I. Stephan e dell'Imperatrice Maria Theresia d'Austria.
Trascorse la sua infanzia tranquillamente e serenamente con i suoi fratelli e le sue sorelle, vedendo raramente la sua maestosa madre e perse il padre quando aveva solamente 10 anni; ella aveva un'irreprensibile propensione per il divertimento, ma non possedeva quell'amore e quell'attitudine per l'acquisizione della conoscenza libresca, senza la quale gli insegnanti non servono a nulla e le opportunità sono pressoché inutili.


L'italiano era la sola lingua che sapesse parlare e scrivere, anche se più tardi imparò a conversare in francese. Era ignorante in fatto di storia, filosofia, persino della sua madre lingua tedesca; negli anni a venire sentì fortemente il peso delle sue carenze, ma non scoprì in nessun modo la debolezza, così comune alle piccole menti, ossia quella di essere invidiosa o gelosa di altri più fortunati di lei in queste cose. (N.d.T. a lato: 
Marie Antoinette, 1767)

All'età di 15 anni fu data in isposa a Louis Charles, erede al trono francese: a quel tempo ella era graziosa ed amabile, piena di vivacità e dotata di arguzia, era alta, le sue movenze erano disinvolte e maestose e vi era qualcosa nel modo in cui teneva il capo, nell'espressione vivace ed animata del suo volto, nella curvatura del suo collo, che diceva che poteva fare e dare tutto quello che era eroico, se fosse stato necessario. Il naso e gli zigomi prominenti, anche se alteravano la regolarità dei suoi tratti, aggiungevano energia all'espressione del viso. I suoi capelli erano di un chiarissimo celeste, ed i suoi occhi erano azzurri, franchi e scintillanti, le sue labbra turgide, spesso separate dai sorrisi allegri, lasciavano intravvedere la sua bella dentatura e le sue sopracciglia, alte e larghe, sembravano essere segno della felicità pronta a marcarle fossette sulle guance e a farle profferire parole spiritose che cadevano come perle dalle sue labbra.
Era quasi impossibile fare di questa libera, selvaggia, impulsiva creatura una donna rigida  dell'alta società. Ella spaventò gli individui cerimoniosi con la sua sconsiderata indifferenza dell'etichetta, disgustò i circoli intellettuali con la sua ignoranza e diffondeva  pregiudizi tra le masse dei francesi contro di lei circa la sua eccessiva frivolezza e stravaganza. Era tuttavia sincera e gentile e non avrebbe fatto ciò che riteneva sbagliato. Suo marito le somigliava solo in questo. Gli piacevano i libri e l'isolamento, ma era troppo saggio per interferire con i piaceri di sua moglie, aveva troppo giudizio e delicatezza per dire: "Ecco, questo è il mio modo di fare, agisci bene, come me".

Il loro matrimonio era uno di quelli combinati per ragioni politiche, e tali unioni hanno i loro vantaggi: se la giovane coppia non ha l'opportunità di immaginare di vivere una grande passione, non ha nemmeno da temere l'infelicità così spesso conosciuta, ossia quella di doversi risollevare dalla loro illusione dopo aver vissuto insieme poche settimane. Il giovane marito continuava a svolgere le proprie tranquille scoperte e studiò la moglie ad una rispettosa distanza, vide che era amabile e aveva molti tratti degni di ammirazione, e aspettò pazientemente il suo amore. Dopo essere stata sposata per sette anni, la vivace farfalla, stanca della sua vita fatua, piegò le ali e si innamorò del cuore di suo marito. Lui l'accolse con piacere e, in cambio, le diede un forte e onesto affetto maschio. Il loro era diventato l'amore che benedice sia il palazzo che l'altare. Non c'era nessun elemento che potesse comprometterne la gloria. Nessun rimorso con crepe lente e mortali trasformò ogni dolcezza in fiele non appena assaggiato. Nessuna circospezione vietava piacevoli reverie dell'amato, o la presenza che era beatitudine.

Il loro attaccamento si fondava sulla perfetta conoscenza reciproca e sul rispetto del bene reale nel carattere di ciascuno. Non si sconvolsero e si infastidirono l'un l'altro con le tante piccoli scaramucce per gelosia che alcune coppie sono così ingegnose di architettare. Il loro amore era profondo e sincero, un amore che si incontrava con il sorriso approvato di Dio, che nobilitava, che purificava e che si rese adatto al cielo. Non c'era più tristezza indefinita, né più solitudine del cuore, né più desiderio di insoddisfazione, ma una pienezza, una completezza, una benedizione che completava tutte le loro capacità per il godimento appieno della vita. E' in un simile amore, che migliaia di brillanti, fresche e nuove speranze nascono nello spirito: come sono rafforzate tutte le capacità dell'anima dalla saggezza! Raro, infatti, è un tale attaccamento, anzi, forse è considerato prezioso più della ricchezza, della fama o della conoscenza dalla maggioranza dell'umanità.
(N.d.T. foto sopra: Marie Antoinette e Loius in una stampa che rendeva pubblico il loro matrimonio) 

La regina lo apprezzava più di quanto apprezzasse il più costoso dei suoi gioielli e visse lietamente in devozione del marito. Belli crebbero i figli intorno a questo affettuoso focolare, legandosi ancora più vicino ai cuori dei loro genitori. Nessuna nuvola esterna poteva oscurare la felicità dolce, piena e ambrata di una simile unione. Solamente il pericolo li avrebbe attaccati più da vicino, e i destini avversi sarebbero statei stati avvertiti solo per il bene dell'amato. Così vissero per dodici anni senza dispiacere alcuno, tranne quando piansero la morte di due figli, ma anche un tale lutto perde la metà della sua gravità quando il cuore è pieno di affetto coniugale.

È sempre un piacere contemplare la felicità delle persone buone e noi daremo loro ora un'occhiata in uno dei loro momenti più felici. Marie Antoinette era seduta in un 'fauteuil', in un boudoir lussuosamente arredato nel suo piccolo palazzo, il Trianon, entro i confini di Versailles, il suo abbigliamento era un semplice abito bianco, i capelli erano disposti in modo semplice e casuale e non indossava gioielli; i suoi figli erano seduti accanto a lei. Un braccio era avvolto intorno a suo figlio, mentre la sua piccola giocava con la mano che aveva libera. Il re sedeva di fronte a loro, tenendo un libro aperto, che chiuse quando sua moglie espresse il desiderio di conversare con lui.

La calda aria estiva era temperata da un vento gaio che sulle sue morbide ali recava per così dire, un'eco di qualche delizioso, sognante e raffinato ritornello poetico. Toccava giocosamente la fronte elegante della regina e i riccioli sciolti dei suoi figli. Ella guardò fuori dalla finestra nel sereno blu del cielo e si fece carico dell'influenza della scena. In questo mondo ci sono momenti di tale squisitezza, quando sembra che i cieli siano vicini a noi, e tutto il mondo indossa un aspetto di una tale nuova, rara e divina bellezza, che non respiriamo se non con timore reverenziale; il pensiero è sospeso e siamo sostenuti al di sopra della realtà dalle onde di emozioni fantasiose ed estatiche.

Forse questa è una delle benedizioni riservate ai santi in cielo e ci sono permessi tali assaggi di beatitudine per convincerci quanto la felicità celeste possa eccedere la beatitudine di qualsiasi altra cosa quaggiù. E questi momenti, anche se rendono la vita molto deliziosa, ci predicano eloquentemente delle gioie di un'esistenza celeste. La regina avvertì tutto ciò mentre osservava le nuvole in movimento, con le loro forme che mutavano in modo strano. Dopo qualche istante, esclamò:


The Hameau de la Reine Marie Therese & Louis Charles with temple of Love in background



"Mio caro Louis, quanto potente deve essere il fascino del tuo libro se ti può distrarre da ogni bellezza viva e meravigliosa così liberamente osservabile in queste splendide vedute che la nostra finestra ci offre".


"Il mio libro non sortisce un sortilegio pari a quello della tua voce, mia ammaliatrice", rispose il marito galante, chiudendo il volume, e la malinconia abituale lasciò la sua fronte, mentre una espressione soffocata di genuina affettività si impossessava dei suoi tratti piacevoli.


"Ti ringrazio per quello che dici, con tutto il cuore, perché so che sei sincero", rispose Marie Antoinette, come se un'espressione di dolce tenerezza irradiasse dal viso espressivo. "È così delizioso," continuò, "avere un amico vero, nobile e amorevole in questo nostro mondo falso ed artefatto ".


"Sono contento che la pensi così", rispose il re, con voce e occhi che esprimevano un'emozione di gratitudine.


"Non la pensi così anche tu?" Chiese con semplice franchezza.


"Sì" rispose il marito. "Sono stato estraneo alla vera felicità fino a quando non ho conosciuto il vero amore per te e ho ricevuto lo stesso da te; ma comunque non ho mai potuto fare una figura ammirevole in qualsiasi assemblea gioiosa e frivola".


"Grazie per il complimento implicito che mi rivolgi", si rallegrò sorridendo la regina. "Provo molto divertimento in certi raduni divertenti di società, ma non è mai una profonda e soddisfacente felicità, come quella che mi donano le ore tranquille che trascorro con te e con i bambini. Questi risvegliano tutto ciò che è nobile nella mia natura, mentre tra le persone frivole vedo solo qualcosa che mi fa ridere e mi perdonerai, quando ti dico che le persone sono molto comiche alla corte di Francia.".

"Perché pensi così?" Chiese il re, con una piccola gelosia nazionale individuabile nei suoi toni.

"Le loro maniere sono talmente primitive, in nessun modo assomigliano alla graziosa libertà dei nostri allegri cortigiani a Vienna. Molte delle signore francesi sembrano macchine meccaniche che sono state brevettate e sono garantite per spostarsi, agire e guardare in un certo modo".

"Possiamo biasimarli se sono state addestrate?", fu la risposta ponderata del re.


"No, ma quelle dame artificiose trovano colpa in me, io che mai sono stata ingabbiata e addomesticata", si rallegrò Marie Antoinette, con ampio sorriso gioioso.

«Come fai a saperlo?» domandò il re, con un tono intriso di una certa preoccupazione.

"Dal loro sguardo e da come si mostrano di solito", rabbrividì la regina, in modo evidente. "Quando una delle mie giovani amiche, la marchesa, l'altro giorno, scherzava alle spalle delle vedove di alto rango, ciascuna delle quali sembrava avesse inghiottito un attizzatoio inflessibile lungo quanto la sua statura tanto inamidate apparivano, mentre faceva loro il verso appariva così buffa che io risi sconsideratamente. Avresti dovuto vedere le occhiate scandalizzate che mi furono rivolte".

"Ma questo è solo un caso, mia Marie".

"Potrei raccontartene tanti altri, perché ogni volta che spezzo una delle regole assurde della corte, i volti delle signore sembrano dire: Ecco la Tartara!" Il re abbassò lo sguardo guardò meditabondo. "Sono libera di ammettere", disse Marie Antoinette, con la sua franchezza abituale, "che forse il motivo principale per cui non mi piace la corte francese è perché mi è nemica. Penso tuttavia che laddove la gente abbia un'ideale adeguata nella loro natura per evitare atti grossolani, i modi spontanei ed irrefrenati siano preferibili a questa grottesca inamidatura".

"Senza alcun dubbio", rispose Luis; "Ma tutte le persone non hanno ideali. Molti hanno anche disposizione verso la crudeltà, ed è necessario per il bene della società che gli animali nascondano i loro artigli aguzzi sotto lunghi mantelli ".

"Presumo che tu abbia ragione. Non sono più filosofa che erudita", sospirò Marie Antoinette.

"Ma tu sei una saggia insegnante", rispose il marito con un sorriso.

"Perdonami, non capisco".

"Hai insegnato a un uomo, non troppo sensibile, tutto ciò che si intende per amore".

"Ho imparato la lezione dal mio allievo", rispose la regina, ardente.


"Sono tanto lusingato quanto felice", rispose Louis, "anche se mai capirò il tipo di problemi di cui Spencer parla quando inizia con


" Pienamente ti conosci, tu che non hai provato,

cosa significa essere in attesa di essere giudicato".

Eppure una dolce malinconia ha sempre aleggiato su di me, fino a che non ti ho amata, e sapevo che in cambio sarei stato amato da te. Ora sento che anche se dovessi sopportare del dolore, finché avrò il tuo amore, non potrei mai essere del tutto miserabile ".

"Sono così soddisfatta del presente, che non ho mai dei presagi oscuri sul futuro", fu la risposta allegra della felice moglie.


"Neanche io, mia bella regina", rispose il marito affettuoso.



Louise Campbell Clay, Marie Antoinette (1755-93) after Vigee-Lebrun



Questo era vero. Luigi XVI e Marie Antoinette erano talmente felici l'uno dell'altro che non erano in grado di rendersi conto dei brusii che facevano presagire la tempesta spaventosa che avrebbe presto sconvolto nella furia desolante le loro teste condannate.


La rivoluzione francese del 1789 cominciò, o piuttosto quella più terribile del terrore, il regno della folla codarda, perché le folle sono sempre codarde; cominciò innanzitutto con uno o due vigliacchi, poi supportati da animali ignoranti e brutali, gretti, scansafatiche, sporchi e ubriachi, che si armano di tutto ciò che può far morire o uccidere, e scivolano da basse tane luride, come serpenti ripugnanti che mirano alla distruzione.

La regina sollecitò il re a compiere passi decisi per soffocare immediatamente la ribellione, ma egli era dell'avviso che i mezzi gentili fossero i migliori. Ella fu consigliata di volare via dalla scena del pericolo con i suoi figli, ma si rifiutò di abbandonare il marito.
La folla, incoraggiata da scarse opposizioni, odiando la regina per crimini immaginari e perché era un'austriaca si affollò intorno al palazzo a Versailles, macellava i suoi soldati e la invitò a mostrarsi sul balcone. Un amico si gettò davanti a lei, la pregava di non rischiare la sua vita e si offrì di andare al suo posto: ella rifiutò la sua generosa protezione, prese i suoi due figlioli, Marie Theresa, di undici anni, e Louis Charles, che aveva otto anni, e obbedì alla chiamata della plebaglia pensando di muoverli a compassione nel vedere questi poveri piccoli innocenti, non aveva ancora imparato che la pietà non esiste in una folla. Le grida, rauche e brutali gridavano: "Via con i bambini!" 

Senza alcuna esitazione o un cambiamento di espressione nel volto, li mandò via e rimase sola, sublime nel suo coraggio. Il suo cuore si gonfiò con un impulso eroico, che l'ineducata, rude massa davanti a lei non si era mai neppure sognata. Quella donna nobile non si affrettò neppure si scoraggiò  presagendo quella che era probabilmente una morte certa e improvvisa. Le sue mani erano intrecciate, gli occhi si sollevavano verso l'alto, e in volto aveva un'espressione di orgoglio alto e sereno. Vi fu quindi un momento di intenso silenzio. Dio, guardando questo mondo misto, ha mai visto un atto più coraggioso di quello della regina, che era lì pronta a darsi quale riscatto per la sua famiglia? E neppure gli angeli proveranno silente ammirazione? E sarebbe strano se, per un istante, la musica delle sfere si fosse chetata? Immobile come di marmo stava la leggiadra, eroica regina.


La folla malvagia era sconvolta. Amarono un coraggio che sarebbe stato impossibile in ciascuno di loro e all'improvviso, senza comprendere cosa stavano facendo, gridarono: "Che viva la regina! Che viva la regina! "

L'effetto dell'eroismo di Marie Antoinette fu di breve durata su queste creature brutali, poiché chiesero che Luigi XVI tornasse con loro alla città. La moglie fedele non avrebbe per un momento abbandonato il marito nel pericolo. Lo accompagnò con i suoi figli. Trenta mila creature circondarono la loro carrozza - animali umani, incomparabilmente più crudeli e sanguigni di lupi affamati: i loro occhi feroci brillavano di malignità ed un'espressione demoniaca era sui loro volti induriti; i loro lineamenti grossolani ed irregolari divennero sempre più distorti, costoro erano come un gruppo di fantasmi che si allontanavano dalle regioni infernali assumendo le forme di uomini e donne. Cantavano canzoni oscene per insultare la regina e i loro cori erano risate maniacali, più spaventose delle urla di bestie selvagge. Hanno strillato, hanno gridato lamenti, hanno ucciso gli amici della coppia reale e ne hanno tenuto le teste spaventose sulle punte delle lance davanti alle finestre della carrozza imperiale. La regina coraggiosa si sedette accanto al marito, il suo ragazzo sul ginocchio, e con una voce calma cercava di lenire il suo infantile terrore.


Durante i successivi due anni furono trattati come poco più che prigionieri nelle prigioni delle Tuileries e St.Cloud, circondati da una guardia nazionale che sembrava voler dare loro protezione, ma in realtà era lì per tenerli prigionieri. Era inutile che la regina sollecitasse il marito ad usare misure attive per scoraggiare l'insurrezione, invano lo invitò a usare la sua autorità oppure a fuggire alle frontiere.
Egli poteva sopportare coraggiosamente, ma sembrava incapace di intervenire tempestivamente ed inoltre, credeva di poter soddisfare il popolo ripetutamente cedendo alle sue richieste. Avrebbe anche provato a spegnere le fiamme che avanzavano versando su di loro olio. Vedendo che non poteva indurre il marito a mettere in atto misure attive, Marie Antoinette sopportava queste prove con calma forza ed allegria, insegnando ai suoi figli o impiegandosi nel ricamo. Furono orditi piani per la loro fuga dai loro amici, ma furono scoperti e chi li progettò morì, ed il re lasciò impuniti coloro che fecero ciò, come se la sua mente fosse troppo ottusa per consentirgli di comprendere rapidamente.
(N.d.T. a lato: Marie Antoinette à la Conciergerie)

Non è certo facile comprendere la passività della sua natura, ma persino lui, quando l'Assemblea Nazionale denunciò i sovrani come traditori del loro paese, accusandolo falsamente di incoraggiare una riunione dei poteri alleati per abbattere la ribellione, fu finalmente indotto in fuga.
Si travestirono e scappano dalle loro stanze il 20 giugno 1791, alle 11 di sera. Furono guidati il ​​resto di quella notte e il giorno successivo in carrozze con cambio di cavalli e la sera giunsero a Varennes, a centottanta miglia da Parigi. Erano stati scoperti prima di raggiungere quel posto e trovarono chi già li attendeva. In vano il re si rivolse al popolo: la famiglia reale fu catturata e costretta a tornare il giorno successivo.


La regina passò quella notte prima del loro ritorno nella casa del sindaco. Era una notte di intensa angoscia. Aveva tanto sognato ultimamente di libertà, e ora tornare in una prigionia sembrava motivo di disperazione più che mai! Terribili e sorprendentemente distinte erano le apprensioni che ella si vedeva davanti, non per lei, ma per coloro che le erano più cari della sua stessa vita: suo marito ed i suoi figli. Che lunga notte di inquantificabile agonia fu quella! I secondi erano come rintocchi funebri soffocati e momenti sembravano fermarsi. Una veglia sovrannaturale le tenne aperti gli occhi, il suo cervello le dava le vertigini per il dolore, il suo cuore pulsava forte e irregolarmente. Temeva i terribili orrori che la sua immaginazione vivida aveva modellato con una tale, allarmante lucidità. Lentamente si allontanava quella eternità di guai. La luce del giorno tremava tremendamente sulle suo volto emaciato, sui suoi capelli spettinati. Meccanicamente sollevò la massa pesante dalle spalle, guardandola. Pallide, le dita fantasmatiche erano state al lavoro con le abbondanti trecce che erano ieri un bel castano, e le avevano sbiancate di fino a renderle come se fossero innevate. Il ritorno a Parigi, seguito dalla folla, era come il loro precedente viaggio a Versailles, solo la distanza era molto più lunga e la loro disperazione era molto più grande ed il loro esaurimento e la loro stanchezza ben più avvertiti.

La violenza della folla era ormai legge. Il re fu detronizzato e imprigionato con la sua famiglia nel monastero dei Feuillants. Successivamente furono messi in una fortezza oscura chiamata Tempio. La Francia era in questo momento immersa in una scena di terrore, il sangue scorreva liberamente per le strade, e solo le pareti della prigione avevano trattenuto la marmaglia furiosa dall'uccidere l'infelice famiglia reale. Nella loro prigione tenebrosa, uno per uno, i loro 'agi' furono loro sottratti. Infine il re fu giustiziato. Poi tolsero alla regina il suo figliolo ed ella resistette a tale crudeltà con la furia di una leonessa ferita; poi, quando le sottrassero anche la figlia, mostrò la calma della disperazione.

Lei stessa fu al fine condannata alla ghigliottina il 14 ottobre 1793: accettò il suo destino dimostrandosi ancora una volta coraggiosa, orgogliosa e nobile regina: appariva calma, di umore sollevato e dignitoso davanti alla corte ed in mezzo a masse rumorose e folle, ascoltando le false accuse mosse contro di lei, senza degnarsi di rispondere ad una parola in propria difesa, e ricevette la sua sentenza con la stessa indifferenza fredda ed augusta. Dormì profondamente prima della sua esecuzione. Quando si svegliò indossò un abito bianco, ed una cuffia con un nastro nero sul capo.


Alle ore 11 le sue mani furono legate, e fu trasportata su di un rozzo carrello traballante attraverso la folla che sembrava una truppa di spettri nell'aria nebbiosa di quel giorno freddo e umido. Con stesso spirito dimesso e coraggioso di cui si era fatta carico di tutti i capovolgimenti del suo destino, udì le grida della moltitudine, "Giù l'austriaca!"
Dopo esser salita sul patibolo, si inginocchiò e disse in tono chiaro e squillante: "Signore, illumina ed addolcisci i cuori dei miei carnefici! Adieu, figli miei! Vado a unirmi a vostro padre".
I suoi figli, nelle loro prigioni, non potevano sentire l'ultimo addio terreno proveniente dalle labbra di una madre affettuosa e amorosa, ma può essere che abbiano avvertito il suo potere nei momenti di calma elevata che Dio dà spesso a coloro che sono soggetti a provare più difficoltà, perché l'anima parla all'anima dell'amato, e si capiscono anche se i loro corpi possono essere largamente separati.
Un altro istante e la lama tagliente cadde e il suo spirito libero raggiunse quello del marito in quel mondo più giusto e leggiadro ancor di quanto i poeti mai sognarono. E mentre le inondazioni di gloria si rafforzavano, si espandevano e  rallegravano la sua anima, ella capì come e perché le sue sofferenze terrene furono necessarie per accrescere e moltiplicare la sua beatitudine celeste. (N.d.T. sopra: Marie Antoinette on the way to her execution by Francois Flameng. 1887)


Godey's Lady's Book, March 1877, pag.248 - 252


Spero di non avervi annoiati, miei cari amici e lettori, con questa lunga lettura, ma mi sembrava davvero un peccato non riportare questo articolo, talmente ben scritto, nella sua interezza.



Con ciò vi lascio con il mio più sentito ringraziamento augurandovi tutto il meglio per questa vostra giornata d'estate



a presto 💕











When we look back at History and its characters we deal with the critics and historians closest to our times, to the most modern authorities, but have you ever wondered how certain characters who made history appeared in the eyes of the very ones who told their lives, i.e. to biographers who immediately followed them and how much their optic was influenced by the culture of their time ?



- picture 1 -  Dal film Marie Antoinette di Sofia Coppola, 2006. 

Searching on the web I came across a short biography of the Austrian queen of the French people, Marie Antoinette, published on No.94 of GODEY'S LADIES BOOK AND MAGAZINE, (March 1877); exactly 140 years ago, Mrs. JOSEPHINE ROBBINS FULLER wrote this article, partly looking like a novel, but faithful to the historical facts that led 
the French rulers to the Revolution and the guillotine, which allows us to come into direct contact with the romantic climate and with the values of which Victorianism was entangled: the importance of love and marital fidelity, the blessing of the family union seen as the promotion of heavenly blessing, modesty, humility, serene endurance of pain as a means of promoting celestial beauty. Let's read it together ...



Crowns have many thorns, cruel thorns that not infrequently pierce the wearer to death. Marie Antoinette learned all the bitterness of this sad truth. She first opened her eyes in the palace at Vienna, November 2, 1755. She was the youngest daughter of the Emperor Francis, and the Empress Maria Theresa of Austria. Her childhood was peaceful and happy amongst her brothers and sisters. She saw little of her stately mother, and her father died when she was only ten years old. She had an irrepressible propensity for fun and amusement, but possessed not that love and aptitude for the acquisition of book knowledge, without which teachers are in vain, and opportunities well-nigh useless.



- picture 2  on the left - Italian was the only language that she could speak and write, although later, she learned to converse in French. She was ignorant of history, philosophy, even of her own native German. In after years she keenly felt her deficiencies, yet she nowhere discovers the weakness, so common to little minds, that of being envious or jealous of others more fortunate than herself in these things.
When she was fifteen years old she was married to Louis Charles, heir apparent of the French throne. She was at this time very graceful and lovely, full of vivacity, and apt at repartee. She was tall, her movements easy and majestic, and there was something in the way she carried her head, in the spirited, animated expression of her countenance, in the very curve of her stately neck, that told you she could do and dare all that was heroic, if occasion required. Her prominent nose and cheek bones, though they marred the regularity of her features, added to the energetic expression of the face. Her hair was a light auburn color, and her eyes blue, frank, and sparkling. Her full lips, often parted by merry smiles, disclosed handsome teeth. Her high, broad forehead and arched eyebrows seemed suggestive of the ready mirthfulness that dimpled her cheeks, and the witty sayings that fell like pearls from her mouth.

It was almost impossible to make a stiff woman of society of this free, wild, impulsive creature. She horrified ceremonious individuals by her reckless disregard of etiquette, disgusted intellectual circles by her ignorance, and prejudiced the mass of French people against her by her excessive frivolity and extravagance. She was, however, sincere and kind-hearted, and would not do what she considered wrong. Her husband resembled her only in the latter qualifications. He liked books and retirement, yet he was too wise to interfere with his wife’s pleasures, he had too much judgment and delicacy to say, “Behold my way of doing, act thou right, like myself.”
Their marriage had been one of policy, and such unions have their advantages, for if the young couple have no opportunity to fancy that they are ill a grand passion, they likewise have not the unhappiness so often known, that of recovering from their delusion after living together a few weeks. The young husband kept on in his own quiet pursuits, studied his wife at a respectful distance; saw that she was lovable, and possessed many traits worthy of admiration, and he patiently waited for her love.

After she had been married seven years, the gay butterfly, wearied of her artificial life, folded her wings and lovingly nestled close to her husband’s heart. He gladly welcomed her, and in return, gave her a strong, honest manly affection. Theirs had become the love that beautifies both palace and hovel. No element was in it that could mar its glory. No remorse with slow and deadly creep turned each sweetness into gall as soon as tasted. No warning conscience forbade pleasant reveries of the beloved, or the presence that was bliss.



- picture 3 on the right - Their attachment was founded on perfect knowledge of each other, and respect for the real good in the character of each. They did not vex and annoy each other with the many trifles and shallow jealousies that some couples are so ingenious in finding. Their love was deep and sincere, a love that met with God’s approving smile, that ennobled, purified, and made fit for heaven. No more indefinable sadness, no more loneliness of heart, no more unsatisfied yearning was theirs, but a fullness, a completeness, a blessedness that rounded out all their capacities for the enjoyment of life. In such a love, what thousands of bright, fresh, new hopes spring up in the spirit; how all the capabilities of the soul for wisdom are strengthened! Rare indeed is such an attachment, although it is perhaps prized more than either wealth, fame, or knowledge by the majority of mankind.

The queen valued it more than she did the costliest of her jewels, and fairly lived in the devotion of her husband. Beautiful children grew around this affectionate hearth, binding still closer together the hearts of their parents. No outward clouds could ever darken the soft, mellow, amber-tinted happiness of such a union. Danger would only more closely attach the two, and adverse fates would be felt only for the sake of the beloved. Thus they lived for twelve years without sorrow, except when they mourned the death of two of their children, and even such a bereavement loses half its poignancy when the heart is filled with conjugal affection.

It is always a pleasure to contemplate the felicity of good people, and we will glance at them in one of their happiest moods. Marie Antoinette was seated in a fauteuil, in a luxuriously-furnished boudoir in her little palace, the Trianon within the bounds of Versailles. Her attire was a simple white dress, her hair was arranged in a plain and becoming manner, and she wore no jewelry. Her children were seated on each side of her. One arm was wound around her son, whilst her little daughter toyed with the disengaged hand. The king sat opposite them holding an open book, which he closed when his wife signified her wish to converse with him.
The warm summer air was tempered by a gay, breezy, frolicsome wind, which bore on its fleecy wings an echo, as it were, of some delicious, dreamy, poetic refrain. It playfully touched the queen’s fair brow, and the loose locks of her children. She looked out of the window into the tranquil blue above, and gave herself up to the influence of the scene. 

There are in this world moments of such exquisite rapture, when it seems as if the heavens were bent low, and the whole world wears an aspect of such new, rare, and divine loveliness, that we scarcely breathe with blissful awe; thought is suspended, and we are borne far above reality by waves of fanciful, ecstatic emotion.
Perhaps this is one of the blessings reserved for the saints in heaven, and we are permitted such foretastes of bliss in order to convince us how greatly celestial felicity can excel the beatitude of every other. For such moments, although they make life very delightful, likewise preach to us eloquently of the joys of a heavenly existence. The queen felt this as she gazed out on the sailing clouds, with their quaintly-changing shapes. After a few moments, she exclaimed:



- picture 4 - The Hameau de la Reine Marie Therese & Louis Charles with temple of Love in background



“My dear Louis, how potent must be the charm of your book, when it can win you from all the living, wonderful beauty so freely displayed in these delightful views from our window.”

“My book has no such spell as your voice, my enchantress,” answered the gallant husband, as he closed the volume, and the habitual melancholy left his brow, whilst a subdued expression of genuine fondness stole over his agreeable features.

“I thank you for what you say, with all my heart, for I know that you are sincere,” replied Marie Antoinette, as a look of wifely tenderness irradiated her expressive face. “It is so delightful,” she continued, “to have one true, noble, loving friend in this false, hollow, artificial sphere of ours.”

“I’m glad you find it so,” returned tile king, with voice and eyes that bespoke grateful emotion.

“Is not this your experience, likewise?” she asked with simple frankness.

“It is,” responded the husband. “I was a stranger to real happiness until I knew a true affection for yourself, and received the same from you; but then I never could make an admired and attractive figure in any gay assembly.”

“Thanks for your implied compliment to myself,” laughingly rejoined the queen. “I own that I find plenty of fun, and a degree of enjoyment in amusing society, but it is never deep, satisfying happiness like the quiet hours I spend with you and the children. These awaken all that is noble in my nature; whilst amongst frivolous persons I only see something to make me laugh; and you will pardon me, when I tell you that people are very comical in the French court.”

“Why do you think so?” asked the king, a little national jealousy traceable in his tones.

“Their manners are so prim, not at all like the graceful freedom of our gay courtiers in Vienna. Many of the French ladies seem like mechanical machines that have been patented, and warranted to move, act, and look in just such a way.”

“Can we blame them if they have been so trained?” was the thoughtful response of the king.

“No; but those artificial dames do find fault with me, who never have been caged and tamed,” rejoined Marie Antoinette, with an arch, merry smile.

“How do you know?” questioned the king, in a tone in which was mingled some concern.

“By their looks and appearance generally,” rattled the queen, in a lively manner. “When one of my young friends, the other day, played pranks behind the backs of the formal dowagers, who looked as if each had swallowed an unbending poker the whole length of herself, so stiff and precise were they; the mimicking marchioness appeared so droll that I inconsiderately laughed. You ought to have seen the scandalized regards that were turned towards me.”

“But that is only one instance, my Marie.”

“I could tell you many others, for whenever I break any of the absurd court rules, the ladies’ faces seem to say, ‘Behold the Tartar!'” The king looked down musingly. “I’m free to confess,” said Marie Antoinette, with her habitual frankness, “that perhaps the main reason why I dislike the French court is because it is my enemy. Yet I do think that where people have sufficient ideality in their natures to avoid acts of grossness, that easy and unconstrained manners are preferable to such grotesque starchiness.”

“Doubtless they are,” answered Louis; “but all people have not ideality. Many, too, have very 
cruel dispositions, and it is necessary for the benefit of society that the animals conceal their sharp claws under long cloaks.”

“I presume that you are right. I’m no more of a philosopher than scholar,” sighed Marie Antoinette.

“But your’re a wise teacher,” answered the husband, with a tender smile.

“Pardon, I don’t understand.”

“You have taught a man, not too susceptible of affection, all that is meant by love.”

“I first learned the lesson from my pupil,” replied the queen, archly.

“I’m as flattered as happy,” responded Louis, “for although I never knew the kind of trouble Spencer talks about when he begins with

‘Full little knowest thou, that hast not tried,
What hell it is in suing long to bide.’

Yet a gentle melancholy always lingered with me, until I loved you, and knew that in return I was by you beloved. Now I feel that even if sorrow should come to me, so long as I had your love, I could never be entirely wretched.”

“I am so well contented with the present, that I have never any gloomy forebodings of the future,” was the cheerful answer of the happy wife.

“Nor I either, my beautiful queen,” rejoined the fond husband.



- picture 5 - Louise Campbell Clay, Marie Antoinette (1755-93) after Vigee-Lebrun



This was true. Louis XVI. and Marie Antoinette were so happy in each other’s society, that they heeded not the low, angry mutterings of the frightful storm, that was soon to break in desolating fury over their doomed heads.
The French Revolution of 1789 began, or rather that most dreadful of terrors, the reign of cowardly mobs. For mobs are always cowardly; started in the first place by one or two cowards, then augmented by ignorant, brutal human animals, ragged, idle, filthy, and drunken, that arm themselves with whatever can maim or kill, and creep from low, dirty dens, like loathsome serpents bent on destruction.
The queen urged the king to take decided steps to at once quell the rebellion. But he was of opinion that gentle means were best. She was advised to fly from the scene of danger with her children, but she refused to desert her husband.

The mob, emboldened by scarcely any opposition, hating the queen for imaginary crimes, and because she was an Austrian, crowded around the palace at Versailles, butchered her soldiers, and called upon her to show herself in the balcony. A friend threw himself before her, entreated her not thus to risk her life, and offered to go in her place. She refused his generous protection, took her two children, Marie Theresa, who was eleven, and Louis Charles, who was eight years old, and obeyed the call of the rabble. She thought to move their compassion at the sight of these tender innocents. She had yet to learn that pity does not exist in a mob. Hoarse, rough, brutal voices shouted, “Away with the children!” 

Without any hesitation or a change of countenance, she sent them away, and stood alone, sublime in her fearlessness. Her heart swelled with an heroic impulse of which the rude, ruffianly concourse before her never dreamed. That noble woman shrank not nor quailed from what was in all probability certain and sudden death. Her hands were clasped, her eyes lifted upwards, and an expression of lofty and serene elevation was in her face. There was a moment of intense stillness. Has God, in looking down on this mixed world, ever witnessed a braver act than that of the queen, who stood there prepared to give herself a ransom for her family? Would not even angels feel mute admiration? and would it be strange if, for one instant, the music of the spheres were stilled? Immovable as marble stood the fair, heroic queen.

The misguided crowd were abashed. They admired a courage that would have been impossible in any of their number; and suddenly, hardly realizing what they did, they screamed, “Live the queen! live the queen!”
The effect of Marie Antoinette’s heroism was of short duration on these brutal creatures. They demanded that Louis XVI. should return with them to the city. The faithful wife would not for a moment forsake her husband in his peril. She accompanied him with her children. Thirty thousand creatures surrounded their carriage— human animals, incomparably more cruel and bloodthirsty than hungry wolves. Their fierce eyes gleamed with malignity; a demoniac expression was on their hardened visages; their coarse, irregular features grew every moment more distorted; they were like a band of fiends let loose from tile infernal regions. And these creatures wore the forms of men and women. They sang obscene songs to insult the queen, and their choruses were maniacal laughter, more appalling than the yells of wild beasts could be. They shrieked, they howled, they murdered the friends of the royal couple, and held the ghastly heads on pikes before the windows of the imperial carriage. The brave queen sat close beside her husband, her boy on her knee, and with a calm voice soothed his childish terrors.



- picture 6 on the left - During the two succeeding years these royal persons were but little more than captives in the Tuileries and St. Cloud. They were surrounded by a national guard under pretence of giving them protection, but in reality to keep them prisoners. It was in vain that the queen urged her husband to use active measures for quelling the insurrection; in vain she urged him to use his authority, or else flee to the frontiers.
He could bravely endure, but he seemed incapable of prompt action. Besides, he believed that he could satisfy the people by repeatedly yielding to their demands. He might as well have tried to extinguish raging flames by pouring on them oil. Finding that she could not induce her husband to use active measures, Marie Antoinette bore her trials with calm fortitude and unwavering cheerfulness, teaching her children, or employing herself with embroidery. Plans were formed by their friends for their escape, but they were discovered and the originators put to death, or the slow king suffered them to go by unimproved, as if his mind was too obtuse to enable him to quickly comprehend them.

It is certainly not easy to understand the passiveness of his nature. But even he, when the National Assembly denounced their sovereigns as traitors to their country, falsely accusing them of inciting a rally of the allied powers to put down the rebellion, was at last moved to flight.
They disguised themselves and escaped from their rooms June 20th, 1791, at 11 o’clock in the evening. They were driven the remainder of that night and the next day in carriages with relays of horses. They arrived in the evening at Varennes, one hundred and eighty miles from Paris. They had been discovered before reaching that place, and intelligence of their approach sent in advance. In vain the king appealed to the people; the royal family were arrested, and were obliged to return the next day.

The queen spent that night preceding their return in the Mayor’s house. It was a night of intense anguish. She had so lately dreamed of freedom, and now to go back to a captivity more hopeless than ever! Terrible and startlingly distinct were the fearful apprehensions that came before her; not for herself, but for those who were dearer to her than life— her husband and children. What a long night of unutterable agony it was! The seconds were like muffled knells, and the moments seemed to stand still. A preternatural wakefulness strained wide open her eyes, her brain was dizzy with pain, her heart throbbed loud and irregularly. She dreaded the gloomy horrors that her vivid imagination fashioned with such alarming distinctness. Slowly crept away that eternity of woe. The daylight fell tremulously on her haggard features, on her dishevelled hair. Mechanically she raised the heavy mass from her shoulders, mechanically looked at it. Pale, phantom fingers had been at work with the abundant tresses that were yesterday a beautiful brown, and had blanched them to a snowy whiteness. The return to Paris, followed by the mob, was like their former journey to Versailles, only the distance was so much farther, their hopelessness so much greater, and their consequent exhaustion and weariness so much more felt.

Mob violence was now law. The king was dethroned, and imprisoned with his family in the monastery of the Feuillants. Afterwards they were put in a dark fortress called the Temple. France was at this time one scene of terror; blood flowed freely in the streets, and only the dungeon walls kept the infuriated mob from murdering the royal family outright. In their gloomy prison, one by one, their comforts were taken from them. Finally the king was executed. Then they removed her son from the queen. She resisted this cruelty with the fury of a wounded lioness. Afterwards, when they took away her daughter, she displayed the calmness of despair.
She herself was at last sentenced to be guillotined on the 14th of October, 1793. She bore her fate like the brave, proud, noble queen that she was. She stood calmly, with a lofty and dignified mien, before the tribunal, amid noisy and jubilant crowds, heard the false charges against her without deigning to answer a word in her defence, and received her sentence with the same cold and august indifference. She slept soundly before her execution. After she was awakened she arrayed herself in a white dress, with a cap and black ribbon on her head.



- picture 7 on the right - At 11 o’clock her hands were bound, and she was jolted in a rough cart through the crowd, that looked like troops of spectres in the misty air of that cold, damp day. In the same tameless, courageous spirit with which she had borne all her reverses, she heard the shouts of the multitude, “Down with the Austrian!”
After she ascended the scaffold she knelt and said, in clear, silvery tones, “Lord, enlighten and soften the hearts of my executioners! Adieu, my children! I go to join your father.”
Her children in their dungeons could not hear this last earthly farewell from the lips of a fond, loving mother; but it may be that they felt its influence in the moments of elevated calm that God so often gives to those most sorely tried, for soul speaks to soul of the beloved, and is understood, though their bodies may be widely separated.
Another instant the sharp blade fell, and her freed spirit was held close to her husband’s in that beautiful world fairer than poets have ever dreamed. And, as the floods of glory strengthened, expanded, and rejoiced her soul, she understood why and how it was that her earthly sufferings were necessary to intensify her bliss in heaven.


Source: Godey's Lady's Book, March 1877, pag.248 - 252




I do hope not to have bored you, dear ones, with this long reading, but I thought it to be really a pity not to bring this article, so well written, in its entirety !



With this I leave you with my most heartfelt thanks, 
wishing you all my best for this Summer day,


see you soon 💕












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